venerdì 8 febbraio 2013

La cinquecento cilestrina - 5- La fontana


Il giorno in cui raccontai alla supplente che la mia mamma aveva pianto sulla tomba del progettista delle fontane di Pisogne, lei, cominciò a guardarmi con occhi diversi. Sì, perché la mia maestra, oramai, mi conosceva bene e conosceva bene anche la mia mamma, ma la supplente esercitava da poche settimane e io lo sentivo che, prima o poi, avrebbe capito tutto. Perché la mia mamma era una brava mamma, ma certe particolarità pesano sulle spalle. E le spalle di un bambino sono piccole, ci sta giusto giusto l’angelo custode, che mi toccava scansarlo per metterci lo zainetto. Le stranezze di una mamma diversa dalle altre non le potevo reggere. 

La mia mamma aveva studiato al Liceo Artistico. Aveva fatto una ricerca, per Storia dell'Arte:  l’ing. Fermo Dabeni e il suo progetto delle fontane di Pisogne. Un giorno mi portò a vedere tutte le rimaste: perlopiù vasche putrescenti di alghe grasse come lattuga, tranne quella posizionata in piazza, trasportata lì dalla slargo antistante il Comune… Mi raccontò una sua teoria secondo la quale, studiando le tavole originali conservate nell'archivio comunale, (tavole dipinte a mano, mia madre lo sottolineò più volte, estasiata, che nemmeno al più bello dei miei disegni era andata così in visibilio, anche se la supplente mi aveva dato “ottimo”) aveva dedotto che la fontana in questione fosse il risultato dell’assemblaggio dei pezzi di due fontane diverse. Poi cominciò tutta una descrizione che persi alla seconda frase. 

Ritrovai l’attenzione quando sentii che parlava di cimitero. 

Era stata al cimitero di Piamborno a cercare la tomba dell’Ingegnere progettista e l’aveva pure trovata. 

Si era commossa ed aveva versato lacrime di rispetto all’artista ed al tecnico, così disse. 

Ma questo alla supplente non lo precisai, aveva già cominciato a guardarmi con occhi diversi, non mi parve il caso di rincarare la dose. 
La supplente, dopotutto, ci aveva chiesto solamente di realizzare un disegno che contenesse la fontana della piazza, e di creare attorno un’ambientazione: bimbi che si rincorrono, passerotti fermi a dissetarsi, ragazze a schizzare acqua per scherzo … E allora io ritrassi la fontana esattamente com'era  e in mezzo ci disegnai l’acqua a vortici e mulinelli e in mezzo all'acqua un battello nella bufera, con me come capitano, col mio cappello in testa, pronto a portare tutti in salvo e a ricevere in premio il bacio della Marisa. 
La supplente guardò il disegno soffrendo visibilmente. Mi chiese, perché volessi far affondare una nave nella fontana di una piazza.
 Io risposi che era un battello. 
E che io ero il capitano. 
Mi chiese il diario e ci scrisse che voleva incontrare la mia mamma. 


Così, però avrebbe capito tutto…



Racconto scritto nel 2010, ad accompagnare la mostra fotografica di mio marito "I lake Pisogne", altre fotografie su: 
https://plus.google.com/photos/113258995033312588615/albums/5482977161003555329?banner=pwa

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